Il primo matrimonio
Quando Francesco salì al potere cittadino le prospettive politiche che dovette affrontare furono molto diverse da quelle dei suoi antenati. Luigi Ludovico I Gonzaga, il capostipite della famiglia, aveva attorno a sé i propri figli Guido, Filippino e Feltrino ma non solo, anche Corrado, Federico ed Alberto erano di consiglio e di aiuto per l'amministrazione cittadina. Grazie a questa coralità di persone, i Gonzaga, riuscirono ad allontanare definitivamente le famiglie rurali che fino al secolo precedente detenevano il potere di Mantova, e che ancora stavano tentando in tutti i modi di riprenderlo. Morto Luigi il potere passò al figlio Guido, il quale a sua volta aveva Francesco di Guido, Ludovico ed Ugolino.
Il nostro Francesco, a soli sedici anni, invece, si ritrovò da solo a dover amministrare una città-stato, nel suo momento più difficile e duro. Ormai il potere dei Gonzaga era assodato nella città virgiliana ed i pericoli principali arrivavano dal esterno. La politica estera era diventata un peso sempre più pressante, con la veloce espansione territoriale della Milano dei Visconti, arrivata ormai alle porte della città.
Facciamo però prima un passo indietro. Francesco nacque nel 1366, da Ludovico II Gonzaga e da Alda d’Este, e dovette entrare velocemente nel mondo degli adulti. Già nel inverno del 1375, all’età di nove anni, il padre, al fine di rafforzare la precaria pace fra la sua casata e quella dei Visconti, ed aiutato dall’educatore Giovanni Della Torre, decise di dare il suo primogenito in nozze alla casata avversaria. La sposa prescelta fu Agnese, una ragazzina di tre anni più vecchia di Francesco, e decima dei ventiquattro figli di Bernabò Visconti. Il viaggio a Milano di Paolo Agnello, assieme all’esperto “di cose militari” Giulio di Castelbarco, che andarono ad annunciare lo sposalizio fu per Francesco la fine dell’adolescenza. Ma vista la tenera età dei due futuri consorti, e sapendo del vincolo ecclesiastico che proibiva di celebrare matrimoni fra minori di quattordici anni di età, si dovettero aspettare cinque anni per l’unione ufficiale. Ma la consacrazione divina era solo una fase secondaria per le persone del tempo: di fatto la coppia era già sposata de facto.
L'arrivo a Mantova
Terminata l’attesa l’ambasceria di Mantova, composta da persone notabili come Oddolino Petenari, Andrea Painelli da Goito e Bertolino Capilupi, in abiti da sfarzoso e lusso, assieme a Giulio di Castelbarco, arrivarono a Milano per prendere la giovane sposa e portarla a Mantova da moglie. Ma ella in quel momento era malata di vaiolo, così tutto l'entourage mantovano dovette aspettare alcuni mesi prima di poterla portare alla sua futura casa. L'unione coniugale fra i due, però, fin dall’inizio non sembrava essere desinata a durare a lungo. La giovane, spesso malata e dal colorito pallido, descritta come "bruttarella", era timida e quasi mai usciva dalle proprie camere. Partecipava poco alla vita di corte e poco ne sembrava essere interessata. L’isolamento cui era dedita non l’aiutava a crearsi buoni rapporti con la famiglia ospitante, sicché - visto l'astio fra le due casate - era vista e percepita come una probabile complottista, una serpe in seno, una spia del nemico.
Oppressa anche dal dovere coniugale di generare prole maschile, la ragazza iniziò un forte periodo depressivo. Quella fase cessò quando rimase incinta (1386), ma durò poco: dal parto nacque Alda, una femmina. Fra Agnese e Francesco i rapporti già freddi e distaccati divennero glaciali.
La fine dei festeggiamenti
La relazione fra loro due precipitò del tutto quando il padre di lei, Bernabò Visconti, venne ucciso dal nipote dello stesso. Il cugino della ragazza, Gian Galeazzo Visconti, dopo aver imprigionato il reggente del potere milanese a Trezzano d’Adda, decise di avvelenarlo prendendo per sé Milano. Agnese non perdonò al cugino l’omicidio, così chiamò in Mantova i fratelli, rimasti ancora fedeli alla politica di Bernabò e tutti quelli che facevano parte della sua fazione. Inoltre in tutte le occasioni mondane alla corta mantovana non perdeva tempo nel dimostrare il proprio odio nei confronti del Visconti in carica, utilizzando aggettivi dispregiativi, di fronte a emissari viscontei. Francesco, preoccupato più per le relazioni politiche che per la moglie, arrivò anche a minacciarla ed ad imporle un comportamento più consono.
Una volta cacciata da Mantova la fazione favorevole ad una rivolta popolare in Milano, al fine di usurpare il potere a Gian Galeazzo, Francesco iniziò una politica di avvicinamento al reggente milanese, in modo da mantenere una pace militare e politica. Gian Galeazzo si dimostrò magnanimo e dopo aver condotto la famiglia del milanese a Parigi, diede a Francesco la possibilità di inquartare la serpe viscontea sul proprio scudo. In questo periodo potrebbe essere nata l’idea, ad entrambi i reggenti, di condannare Agnese Visconti, divenuta ormai faziosa e pericolosa per la pace fra le due città. Così all’inizio del 1391, iniziò il processo che la vide imputata di adulterio, con un tal Antonio da Scandiano.
Il processo
Tutti gli interessati della Corte furono giudicati durante un attento interrogatorio eseguito dal Podestà di Mantova, il bolognese Obizzone de’ Garsendini e coadiuvato da Giovanni della Capra di Cremona. Il cancelliere che redigeva gli atti fu Bartolomeo Bonatti (notaio di Mantova). I più importanti testimoni furono: la fantesca della piccola Alda di cinque anni, Donna Brigida, la dama di compagnia Beatrice Ser Gori e l’ancella Sidonia di Pavarolo. Oltre ovviamente ai due diretti interessati: Antonio ed Agnese; dei quali il primo si accollò integralmente le colpe, mentre Agnese, ormai conscia del proprio destino restò in totale silenzio. La donna completamente vestita di nero in segno di lutto, assieme al suo presunto tale amante, vennero giustiziati il 7 febbraio 1391; lui tramite impiccagione e lei privata del capo dal boia Giovanni Cavalli.
Francesco, per evitare chiacchiericci nelle corti francesi ed europee, nelle quali si era da poco messo in luce, fece scrivere in diverse copie i resoconti del processo, come se si sentisse in debito morale, a dimostrare la propria innocenza. Mentre in Mantova vennero eliminate tutte le raffigurazione della donna: una damnatio memoriae che purtroppo oggi non ci permette di vedere il volto della povera vittima di una truce politica.
Fonti del processo ad Agnese Visconti. Busta 3451, cc. 249 dal titolo:
Processus ac sententiae contra Dominam Agnete de Vicecomittibus, mediolani uxorem Domini Francisci De Gonzaga, Domini mantua, in amputatione capitis condemnatam propter adulterium perpetratum cum Antonis da Scandiano Camerario predicti, furcis condamnato. Sexta mensis februarij 1391.