L'Antefatto
Francesco Gonzaga sapeva bene che non avrebbe avuto alcuna possibilità di vittoria contro la seconda potenza economica e militare dell'epoca. I Visconti ormai avevano conquistato tutto il nord Italia, ad eccezion fatta di Mantova, Ferrara e Venezia. Ma se le ultime due risultavano più ostiche e meglio attrezzate, Mantova, per i milanesi era solo una questione di tempo. Entrambe le parti lo sapevano, e questo metteva Mantova in una condizione di tacita subordinazione. Tanto è vero che in una lettera inviata con urgenza nella tarda notte, Castrobarco, capo delle guardie e del porto a Governolo attorno al 1380, avvertiva Ludovico I Gonzaga, che due ore prima erano arrivati tre galeoni da guerra milanesi. Ma non solo, la mattina seguente ne sarebbe arrivato un quarto. Il funzionario del Gonzaga, nell'attesa di una risposta, li fece ormeggiare nella bocca del Mincio, oltre il dispositivo difensivo.
Qualche giorno dopo, mezza flotta milanese, era a Governolo; il Castrobarco riscrive nuovamente a Ludovico, dimostrando una certa preoccupazione per l'assembramento di navi nemiche che si era fatto. Tant'è che egli stesso gli chiede se non fosse meglio cercare un "locho magis oportuno" per quelle navi con "navigatoribus et armigeris", ovvero "balestrarii et pavesarii .... et dicti galioni sunt bene fulciti de sclopis et aliis armis". Armi modernissime e potenti a quel tempo. La lettera riporta le ore 22 del 25 luglio. A sommarsi alle quattro navi da guerra di Bernabò erano giunte le navi di Gian Galeazzo Visconti ed altre due stavano arrivando.
Inutile dire che se il milanese avesse voluto attaccare Mantova non avrebbe trovato alcuna difficoltà, in quanto Ludovico non avrebbe potuto rispondere efficacemente. Mantova, avverte lo stesso Castrobarco, non era in grado di poter allestire anche un solo galeone, essendo privi "de bonis balesteriis pro fornendo dicto galeono.". Inoltre lo stesso aggiunse che il morale delle truppe era basso in quanto erano poco e mal armati; oltre che "cum poucam fiduciam".
Questa lettera ci dimostra quanto nella realtà dei fatti, Mantova, era solamente un giocattolino per il milanese e che di fatto la considerasse sua.
Venuti meno Ludovico e Bernabò, la politica fra Mantova e Milano non cambiò particolarmente. Francesco I Gonzaga voleva mantenere in stallo il rapporto, bilanciando i pesi e le misure; mentre Gian Galeazzo vedeva la città virgiliana come uno staterello alle sue dipendenze, senza che vi fosse però una chiara e formale sudditanza. Mentre Francesco cercava di tranquillizzare sempre di più il polo mantovano anti visconteo, Gian Galeazzo mise fra le sue mani: Verona (1387), Vicenza (1388), Feltre (1388) e Belluno (1389).
Il fragile equilibrio politico, però, era destinato a rompersi. Gian Galeazzo richiese l'aiuto dei mantovani per la conquista di Padova (1390) promettendo a loro in cambio Ostiglia, Villimpenta ed Asola. Una volta conquistata la città veneta, però, il milanese non contraccambiò la promessa e Francesco decise di allearsi con la lega anti-viscontea. Da li a poco Mantova venne invasa dalle truppe milanesi.